"Roberta! Che ci fai qui?"- Era apparsa all'improvviso sulla soglia dello studio, così, senza preavviso e con l'aria di chi si aspetta molto da quella visita. Sono abituato alle sue sorprese, ma certo oggi non immaginavo che sarebbe venuta a trovarmi qui, a 200 km di distanza da casa. Inoltre sapeva che sono impegnato tutto il giorno con le mie visite di consulenza, non ho certo molto tempo da dedicarle. "Sei carino con il camice, sai?" - La sua voce flautata sgombra ogni pensiero dalla mia mente. I suoi occhi vispi incrociano i miei, e mentre mi avvicino mi sembra di immergermi in un campo di energia positiva, in una bolla di luce che offusca ogni ombra, in una cabina che attenua ogni rumore. Pochi centimetri, sento il suo profumo, pochi millimetri, le sfioro le labbra e ne sento il calore, anzi di più, ne sento la carica elettrica, la tensione fortissima che nessun occhio può notare a distanza, ma che dice solo una cosa: ti voglio. "Dammi due minuti" - le dico, e corro a chiamare un collega e l'infermiera dello studio. "Mi spiace, non ho potuto fare molto, abbiamo solo il tempo della pausa pranzo" - le dico al mio ritorno - "e non posso allontanarmi dall'ospedale, ci metteremmo troppo tempo". "Ciccio, lo sai che per me va bene tutto no? L'importante è stare insieme a te" - mi risponde con la sua vocina dolce. "Ok vieni con me, ho preso le chiavi dell'ultimo piano, dove stanno facendo dei lavori di ristrutturazione, non so cosa troveremo ma penso che riusciremo a stare un po' tranquilli".
Percorriamo corridoi infiniti, fino all'unico ascensore che permette di raggiungere il decimo piano. In effetti non è un ascensore, ma un vecchio montacarichi industriale, forse in uso alle cucine. La porta non esiste e le pareti scorrono sotto i nostri occhi con un effetto vagamente inquietante. Finalmente destinazione, un paio di porte chiuse a chiave e poi una fila di armadi, alcuni semiaperti, vuoti. Ora vecchi macchinari, stampanti antidiluviane, apparecchi per radiografie, scatoloni ammassati. In effetti l'aspetto è quello di un vecchio magazzino, come un negozio di un rigattiere, pieno di curiosità e cianfrusaglie inutili. Di lavori in corso neanche l'ombra, forse devono ancora cominciare, o forse non li faranno mai. Stranamente il riscaldamento è in funzione, e funziona alla grande! Mi sento accaldato e Roberta sembra avere la mia stessa impressione di gran calore. Ci avviciniamo alle finestre senza tende, un panorama delizioso, inaspettato, mirabilmente dipinto nel grigio cielo invernale. "E' bellissimo qui!" - dice Roberta" - "i tetti anneriti, i comignoli fumanti, e lì, quella chiesa, ha un campanile altissimo... e là in fondo c'è la fontana degli amanti?" Si riferisce ad una fontana che l'ha tanto colpita la prima volta che è venuta a trovarmi: raffigura una coppia di giovani nudi, lui e lei che si guardano stringendosi le mani sotto un grazioso gioco di schizzi d'acqua. Le cingo il collo con le mie braccia, le prendo il viso tra le mani, le sfioro le labbra, chiudo gli occhi e mi abbandono ad un bacio dolcissimo, tenero, prolungato. Le nostre lingue si cercano, si intrecciano in un gioco sensuale e languido, ogni angolo viene esplorato, ogni millimetro assaporato, e il calore dell'ambiente si fonde al calore dei nostri corpi, delle nostre mani ormai alla ricerca delle zone erogene, audaci premesse di un abbraccio sempre più intimo e forte. I suoi seni sono costretti in un reggiseno che non vuole cedere, occorrono vari tentativi contro quel maledetto gancetto, poi la meraviglia viene fuori, i capezzoli scuri sono bene evidenti, duri, li lecco avido, mi tuffo tra quei morbidi cuscini, li soppeso, li vorrei mangiare tutti, li massaggio con decisione mentre la sento già mugolare di piacere. Mi guardo intorno e poco distante c'è un vecchio schedario in metallo, non troppo alto. Prendo Roberta di peso e la faccio sedere proprio li sopra. Le sbottono la camicetta e l'aiuto a togliersi pantaloni e slip. La figa è all'altezza giusta, le allargo dolcemente le gambe, la fessura è stretta e poco evidente, seminascosta da una peluria corta, curata, nerissima. Mi prende la testa tra le mani, mi guida con decisione, mi attira a se sapendo bene quanto mi piace, quanto mi fa impazzire affondare tra le sue cosce, assaporare la sua intimità più nascosta, penetrare con la lingua ogni più remoto particolare del suo sesso. La scena che vedrebbe un ipotetico osservatore è tra le più forti ed eccitanti che si possano immaginare, e nello stesso tempo artisticamente composta: Roberta che solleva le gambe per facilitarmi il dolce assaggio, con i seni che sfiorano la mia testa, mentre io abbraccio le sue cosce e mi godo il suo intimo sapore, lei seduta sullo schedario di fronte alla finestra, io piegato su di lei, lei che tende la testa all'indietro in una smorfia di piacere. Lecco con gusto, penetro, allargo ed esploro, colpisco e succhio il clitoride, è il paradiso dei sensi. Roberta mi blocca ora, salta giù e veloce come un lampo è già in ginocchio davanti a me, i miei pantaloni scendono, il mio pene pulsa tra le sue mani. Lo stringe con vigore, le sue dita esili percorrono l'asta, si soffermano a stuzzicare la base del glande, la sua lingua lo sfiora, lo lecca in punta, lo assaggia come se fosse un cono gelato. Mi piace quando lo assaggia, i colpetti con la lingua mi danno una scarica di adrenalina e lui, il mio willy, risponde con un sussulto. Ora lo prende tutto in bocca, lo succhia avida strusciando la lingua sul filetto, mentre con le mani mi accarezza le cosce, le natiche e lo scroto. Sento il piacere crescere, il calore che mi invade il ventre e la schiena, che sale fino al cervello e mi fa impazzire, ho voglia di urlare per il sublime trattamento che sto subendo. Il mio respiro si fa veloce e i suoi movimenti così sicuri sono ormai padroni della mia volontà quando sento squillare il mio cellulare. "Miseria! Il mio collega mi sta già chiamando, significa che i primi pazienti stanno arrivando" - impreco - "dai non ci pensare, ancora qualche minuto possiamo continuare no?" - risponde Roberta. Ed io: "certo mia cara, rimaniamo ancora un po', anzi, sai cosa mi piacerebbe fare vero?" - "Sì, ne abbiamo già parlato, e voglio farlo sai? Solo che voglio farlo in piena tranquillità e in una situazione più comoda, non trovi?" Ha ragione lei, e non posso non essere d'accordo, ha capito al volo che muoio dalla voglia di possederla come non ha mai fatto con nessuno, e sarò io a farle provare per la prima volta il piacere anale, la più intima e preziosa concessione che una donna possa fare ad un uomo, la più totale donazione di sè, pegno d'amore e suggello perfetto del nostro essere amanti.
La mia mente corre, immagina situazioni e occasioni, gioisco silenziosamente della mia fortuna, lentamente ritorno alla realtà sentendo un nuovo piacere, il mio pene accolto tra i suoi seni, sodi e caldi mi stanno stanno accarezzando con un movimento oscillante, meraviglioso, e sono pronto a venire, l' orgasmo arriva prepotente, con una smorfia esplodo dicendo: "eccomi... eccolo... arriva... vengooo!" Schizzi potenti sfiorano il viso di Roberta, le sue mani quasi strozzano il mio membro pulsante, ritmicamente lo scorrono, lo spremono, favorendo l'eruzione del mio piacere fino all'ultima goccia. L'ultima goccia è ora lì, timida, e Roberta è pronta a farla sua, la beve, la gusta, ripercorre con la lingua tutto il glande, mi guarda negli occhi, ci guardiamo con tenerezza. L'attiro a me per un ultimo bacio che ci lascia completamente senza fiato. La giornata è continuata veloce, e durante il lavoro non potevo fare a meno di pensare a quei momenti, e a ogni singolo istante passato insieme, e agli istanti che verranno, tutti da vivere intensamente come abbiamo sempre fatto finora.